Da più parti si continua a declamare l’allungamento della vita e si invoca la possibilità di diventare tutti ultracentenari. A sostegno si richiamano gli esperimenti sui piccoli animali, i quali hanno raddoppiato l’aspettativa di vita quando posti in restrizione calorica. Si dice: se è possibile sugli animali, perché non nell’uomo?
Sembra non si voglia vedere la realtà attuale: innanzitutto, l’aumento dell’aspettativa di vita, che stava accelerando oltre ogni proiezione demografica, ora sembra segnare il passo. Il fenomeno è preoccupante e non può non essere messo in relazione con la progressiva incidenza di sovrappeso e obesità sia nei paesi industrializzati sia, in modo ancor più vistoso, in quelli in via di sviluppo. Un altro aspetto, relativamente nuovo, è la fascia di età a maggior prevalenza di obesità: dai sessanta ai settant’anni.
I rapporti tra eccesso di peso da un lato e morbilità e mortalità dall’altro sono stati e sono tuttora oggetto di molti studi. Mentre sul rischio di morbilità vi è generale accordo, su quello di mortalità vi sono ancora opinioni discordanti: molti sostengono che nella vecchiaia l’obesità non inciderebbe sull’aspettativa di vita, anzi vi è chi sostiene che può essere un fattore protettivo.
Rivedendo la letteratura, si ha l’impressione che i lavori che escludono l’associazione tra eccesso di peso e mortalità siano gravati da numerosi bias metodologici, che possono anche portare alla paradossale conclusione che l’obesità è un fattore protettivo: tra i fattori “confondenti” vi è cosiddetto effetto sopravvivenza, la selezione della casistica, la localizzazione del grasso corporeo e altri ancora. Si fa fatica anche a ipotizzare come un medesimo fattore possa essere contemporaneamente protettivo per l’aspettativa di vita e, al contrario, associato alla presenza di molteplici fattori, a loro volta, rischio importante di mortalità.
Un problema emergente è la perdita di autosufficienza in relazione all’età: il problema ha vaste e profonde ricadute sotto molteplici aspetti, dalla qualità di vita del paziente ai costi sociali ed economici per il paese. Vi sono state osservazioni che hanno messo in rapporto il rischio di disabilità con l’eccesso di peso: è stato segnalato che il rischio suddetto si manifesta dieci anni prima (a circa 65 anni) nei soggetti obesi rispetto a quelli normopeso (a circa 75 anni).
Ora Lang e collaboratori, in un brief report sul Journal of the American Geriatrics Society, dopo osservazione di 4000 soggetti di età maggiore di sessantacinque anni per cinque anni, confermano che l’eccesso di peso comporta un rischio di compromissione funzionale doppio o triplo nelle donne e fino a cinque volte maggiore nei maschi rispetto ai soggetti normopeso. Il rischio è progressivamente più elevato per progressivi valori di eccesso di peso. Dallo stesso studio non sembra emergere un significativo rapporto tra obesità e mortalità, anche se nelle classi di eccesso ponderale più elevato il rischio suddetto è evidente e significativo. La spiegazione della apparente discrepanza sembra puramente statistica: poiché, infatti, i soggetti con peso più elevato sono, in questo studio, poco numerosi in relazione al grande numero di quelli con lieve eccesso di peso, nei quali l’associazione peso mortalità non raggiunge la significatività statistica, l’intera casistica ne risente e porta a negare che nella vecchiaia l’obesità sia un fattore di rischio di mortalità.
Volendo riassumere il significato dello studio di Lang e di altri consimili, si può sostenere che il dilagante eccesso di peso dei nostri tempi è un fenomeno preoccupante che comporta morbilità aumentata e perdita di autosufficienza, mette a rischio la qualità di vita e aggrava gli oneri sociali.
Vi è, ancora, qualche incertezza sui rapporti con l’aspettativa di vita. A questo punto vorrei richiamare i dati delle MLICs (Metropolitan Life Insurance Companies) americane desunti dall’osservazione per decenni di milioni di soggetti e pubblicati nel 1959: il rischio di mortalità risultava progressivo per progressivi valori di eccesso di peso. Questi dati hanno costituito e costituiscono tuttora un punto di riferimento per ogni programma di intervento istituzionale nei confronti dell’eccesso di peso: studi su casistiche selezionate non possono inficiare queste evidenze.
Se, in qualche modo, i progressi della medicina consentono anche ai soggetti in eccesso di peso di vivere più a lungo di qualche decennio or sono, questo aggrava solamente la situazione, perché sopravvivenza non significa miglior capacità funzionale, ma si traduce in maggior numero di anni da vivere in condizioni di disabilità.